
Durante i corsi estivi “COR JESU SUMMER CAMP 2025” (Apprendimento Aumentato, realizzato sull’Avviso Riduzione dei divari negli apprendimenti e contrasto alla dispersione scolastica – Scuole paritarie non commerciali, finanziato dall’Unione Europea – NextGenerationEU – fondi PNRR) i nostri studenti hanno avuto l’opportunità di partecipare a un progetto trasversale e multidisciplinare, che ha unito la fotografia e la scrittura in un’esperienza di scoperta e riflessione sui luoghi che quotidianamente abitano: il nostro Istituto.
Il laboratorio di fotografia, tenuto dal Prof. Marco Vertucci, ha dato agli studenti la possibilità di esplorare e immortalare angoli e spazi dell’Istituto, attraverso la loro lente creativa. Ogni scatto è diventato un punto di partenza per il laboratorio di scrittura, condotto dalla Prof.ssa Giorgia Recchiuti, dove i ragazzi hanno trasformato le loro fotografie in descrizioni e suggestioni narrative.
Il risultato è un racconto vivido e coinvolgente che restituisce l’immagine dell’Istituto attraverso gli occhi di chi la vive ogni giorno. I luoghi, le aule, i corridoi, le panchine: tutto è stato raccontato con parole che trasmettono il vissuto, le emozioni e le percezioni degli studenti.
Un progetto che dimostra quanto sia fondamentale il legame tra gli studenti e il loro ambiente educativo, e come la creatività possa dare voce a chi, spesso, non ha l’opportunità di raccontarsi.
Abbiamo il piacere di condividere con voi alcuni estratti dei testi scritti dai ragazzi, che permettono di immergersi nei luoghi familiari dell’Istituto, osservati con una nuova prospettiva e raccontati con passione e originalità.
La foto è stata scattata da Eleonora Zedda Visconti, una ragazza di prima media, la mattina di martedì 24 giugno, mentre eravamo sulla terrazza dell’istituto Cor Jesu di Roma. Questa fotografia rappresenta degli studenti che salgono le scale del terrazzo, una scena spontanea che vediamo quasi tutti i giorni.
Nella foto possiamo notare delle forme geometriche date dalla struttura degli edifici sullo sfondo, si può osservare, inoltre, la ripetizione dei gradini della scala, è come se gli stessi gradini proiettassero la loro ombra sul muro adiacente. La ragazza ha deciso di scattare la foto in bianco e nero per attirare l’attenzione dell’ osservatore sulla scena e non sui colori. Guardando la fotografia mi tornano in mente le volte in cui noi ragazzi di seconda media siamo andati con la professoressa di italiano a leggere dei libri in terrazza; ricordo ancora la sensazione del vento mischiato al caldo afoso che respiravamo mentre eravamo lì su.
Il vento faceva volare le pagine dei libri e il calore del corridoio del poggiamano rovente era scaldato dal sole. Mi vengono in mente le voci dei miei compagni che leggono i libri, le lamentele di altri per il troppo caldo, gli esercizi e le lezioni di epica all’aperto per cercare di rendere più leggera una sesta ora faticosa e sfiancante.
La foto, scattata lunedì 16 Giugno da Giulia Zoppo, una studentessa della scuola media dell’istituto Cor Jesu di Roma, rappresenta la vetrata della chiesa adiacente la scuola. La caratterizzano delle scanalature circolari, una non completa trasparenza del vetro, una superficie liscia e allo stesso tempo solcata dalle decorazioni, un primo segnale di antico, forse rovinato uso del materiale, l’ombra causata da qualcosa posto al di là dell’obbiettivo e un dolce canto continuo, proveniente dall’interno.
Il vetro, trasparente e liscio, riflette ogni cosa, ti permette di vedere oltre dandoti la possibilità di non muoverti mai davvero e fino in fondo. La vetrata in questione, invece, non ti dona una vista pulita, l’oggetto presente dietro quest’ultima forma un’ombra e complica maggiormente la visuale, il vetro quasi opaco ti costringe a voler varcare la vetrata, posta lì come un confine tra i due ambienti.
È possibile varcare davvero il confine? Cosa si lascia quando si lascia un ambiente? Il materiale tattile ci ricorda che esiste una barriera, un limite. Tra il dentro e fuori, tra lo spazio della chiesa e quello anteposto all’entrata, tra l’io e l’altro.
Un confine, resistente come un palazzo o labile come una vetrata, alla mente umana rappresenta incessantemente un ostacolo da superare, da vincere. Nonostante la fragilità del vetro, all’apparenza facile da sovrastare, l’osservatore, pronto a soffermarsi solo su una velatura di ciò che si trova davanti, si ferma prima, rimane in quello che ha visto, che ha vissuto e che già conosce. È come se l’ostacolo potesse creare due reazioni: retrocedere o avanzare. Succede sempre, quando il confine è reale, quando è immaginario e anche quando il vero e proprio confine siamo noi stessi, quando ci imponiamo di retrocedere per paura di ciò che verrà o quando avanziamo continuamente mossi dall’ansia della stasi. Così ci limitiamo ad osservare la vetrata e ad immaginare ciò che ci sarà oltre.
La foto è stata scattata martedi 24 giugno 2025 da uno studente della classe II Media, Marco, dell’Istituto Cor Jesu Roma. Il luogo è quello della chiesa adiacente la scuola caratterizzata da una lunga scala che conduce alla porta di ingresso.
L’idea è stata quella di rappresentare gli anni ‘60 con persone che salgono e scendono le scale; questo tipo di fotografia viene definito specificamente un tipo di fotografia urbana. Possiamo descrivere l’immagine utilizzando alcuni dei cinque sensi: il primo è la vista, la foto è in bianco e nero, c’è anche il tatto se proviamo a sentire il materiale della scala che è di marmo ed infine l’udito immaginando di ascoltare quello che dicevano le persone in quel momento.
Questa foto rappresenta per me la vita che fanno i ragazzi dopo una lunga giornata di scuola, appaiono stanchi e assonnati. Spesso prima di entrare ed uscire dall’Istituto gli studenti si fermano su quelle scale, per parlare un po’ o semplicemente per riposarsi.